Era una grossa testuggine marina che si era impigliata nelle reti: la povera bestia era rimasta gravemente ferita da un raffio, ed i pescatori l'avevano legata, come un cavallo, per una zampa, ed assicurata ad un palo. Essa faceva grandi sforzi per liberarsi e di tanto in tanto sollevava la testa, il collo e una parte del suo guscio rosso scuro, per respirare. Fu lasciata tutta la notte al suo martirio e la mattina seguente, quando partii per il capo, vidi dalla mia barca che era ancora nello stesso posto.
Avevo con me quattro barcaioli e un servo dell'albergo che aveva passato qualche tempo a S. Felice, sul promontorio e che doveva farmi da guida. In tutto, eravamo sei persone. Partimmo alle quattro del mattino: la luna chiara che discendeva verso occidente, spandeva nell'ultima lotta col giorno, un bagliore largo e dorato sul mare lievemente mosso. Fitte nebbie apparivano ad oriente, verso la palude di Fondi, e nascondevano le rocce di Sperlonga ed i promontori di Gaeta e di Mondragone. Anche il capo Circeo era cinto di un velo, squarciato solo sulla vetta.
Soltanto chi ha viaggiato per mare fra il tramontar della luna e il nascer del sole può aver sentito la gioia divina dell'imminente[251] nuovo giorno. Il respiro continuo del mare che sale dall'irrequieto e vivo elemento, ha in sè il fremito primordiale della creazione. Perchè mai il mare sveglia in noi, anche visto in lontananza, o sentito nel ritmico palpito delle sue onde dalla riva, un desiderio così profondo, ansioso ed ignoto, come nemmeno le cime delle Alpi sanno svegliare?
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