Il giorno dipoi vidi, sulla via Appia, presso la stazione di Mesa, questa selvaggia scena palustre: è impossibile immaginare qualcosa di più singolare di quei mostri neri ammassati nel canale che, simili a un branco di cavalli del Nilo, agitano le loro teste possenti con le corna piegate all'indietro, sbuffano fuor dell'acqua, mentre faticosamente avanzano nuotando e calpestando.
Quanto più ci avvicinavamo a Terracina, tanto più il canale diveniva animato. Molti sandali tornavano carichi dalla città e su molti di essi sedevano uomini civilmente vestiti che sembravano passeggeri ed erano forse proprietarii di terre vicine.[275]Scendemmo dal battello al ponte, presso il grande ospedale militare ed io mi recai subito alla riva accanto all'albergo, per sapere qual fine avesse fatta la gigantesca tartaruga. Essa stava distesa su un carro a due ruote, legata con funi e accuratamente avvolta in scorze d'albero, quasi si fosse voluto preservarla da un raffreddore. Molta gente stava ad osservarla attentamente. Il guscio robusto era di un bellissimo color bruno con macchie nere; la testa pareva quella di un'aquila e perfino la bocca aveva la forma di un becco. Viveva ancora e guardava gli astanti con occhi spalancati pieni di stoica indifferenza; sembrava quasi volesse dire: "Tu sei una creatura più abominevole di me, o uomo, e cento volte più crudele e vorace del pescecane, tu che strappi alle profondità dei mari i suoi abitanti per seppellirli nel tuo stomaco, nella grande voragine e abisso del mondo vivente!
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