Il sole del pomeriggio splendeva ancora ardente su quegli aridi campi, quando entrai in un'orribile strada, in un sentiero, a malapena praticabile per i muli che conduceva al monastero di Casamari. Passai dinanzi ad un casolare solitario dove si era fermata una comitiva di gente venuta da Veroli, fra cui alcune ragazze, vestite per bene che stavano danzando e scherzando: tutto ciò produceva in quella solitudine una gradevole sensazione; si sarebbero potute paragonare ad uno stormo di garruli uccelletti in una cupa foresta. Proseguii quindi per una buona strada fiancheggiata da olivi e da vigneti ben coltivati, il che rivelava un possesso tenuto con un sistema di coltura molto diverso da quello dei dintorni. Presto ne scoprii la ragione; incontrai una compagnia di pellegrini che tornavano dal celebre convento di Casamari, gli uomini col bordone in mano, le donne portando sulla testa panieri di provvigioni, vestiti tutti nella pittoresca foggia dei monti latini.[284]Più volte avevo udito parlare di questo convento e mi era anzi stato vantato con quello di Fossanova, come il più bello di tutto il Lazio; soprattutto come una vera meraviglia di architettura gotica; ora finalmente me lo trovavo di fronte, mole grandiosa di severi edifici, dalla tinta grigia, sorgenti solitari sul sottostante altipiano, tra i quali emerge il vertice della chiesa del monastero. Tutto questo è circondato da un cortile con una porta maestosa di stile romano che dà accesso ad un porticato, che ricorda assai l'arcus deambulatorii dei ricchi monaci medioevali; accanto scorre un ruscello, l'Amaseno, ombreggiato da melanconici pioppi: tutto ha l'aspetto di un deserto silenzioso e arso dal sole.
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