In genere i monasteri al dì d'oggi hanno un non so che di desolato, di morto, come di cosa che non risponde più all'indole dei tempi. Qui invece nulla è mutato; l'atmosfera morale di vari secoli addietro, sopravvive; i monaci continuano a salmodiare, a pregare, a tacere, a lavorare come in passato, rivestiti degli stessi abiti, negli stessi locali, con la stessa monotona uniformità. Tutto è andato mutando nella storia del mondo, ma fra i monaci di Casamari nulla è cambiato; ad essi basta che durino la chiesa, i vescovi e il papa in Roma. Nulla nei dintorni ha un aspetto diverso[285] dall'ieri: Veroli, Pofi e San Giovanni sussistono tuttora come una volta, con le loro chiese e i loro santi e i pellegrini continuano come prima a battere alla porta del monastero. Essi non hanno più da temere i Saraceni, nè i baroni rapaci, nè i condottieri; vivono però in continua angustia per la rivoluzione, che finirà col tornar loro più fatale dei Saraceni e dei masnadieri medioevali, poichè da quelli non avevano da temere che l'incendio o il saccheggio, mentre da questa dipenderà la loro esistenza. Inoltre i beni dei monasteri sono diminuiti e con ciò resta inceppata l'azione esteriore alla Chiesa. In realtà un tal convento è come una cronaca in pergamena dove le vecchie miniature rivivono come fantasmagorie.
Il nome di Casamari è stato erroneamente spiegato in casa amara e così erroneamente lo spiega pure il Westphal, nella sua opera sulla Campagna romana, alludendo alla regola severa dei fratelli della Trappa, cioè dell'assoluto silenzio prescritto ai monaci che vi abitano.
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