Fu cardinale e dopo la morte di Clemente VIII, poco mancò che non ottenesse la tiara; ma, punto ambizioso, volle che fosse collocata sulla testa di Leone XI de' Medici, amico suo. Morì due anni dopo, il 30 giugno 1607. Venne sepolto nella chiesa dell'Oratorio di Roma. Il Baronio rimarrà sempre una gloria della[303] storia ecclesiastica e la sua gigantesca opera sarà sempre meritevole di ammirazione.
Voglia ora il lettore gettare ancora uno sguardo su quell'altura di dove abbiamo preso le mosse e dove si scorge sempre Veroli. Chi non conosce, o non ha mai udito parlare di un'opera italiana intitolata "Del beneficio di Cristo?" Pubblicata nel 1542 in Venezia in grande quantità di copie, diffusa in molteplici traduzioni, dopo trent'anni era divenuta già irreperibile, tante erano state le mani che ne avevano fatto ricerca per consegnarla alle fiamme. Udimmo, pochi anni fa, che inaspettatamente se n'era scoperto un esemplare in una biblioteca di Cambridge e venne di poi ristampata in Inghilterra, in Germania e in Italia. Aonio Paleario di Veroli fu l'autore di quel celebre scritto ed io voglio porlo a fronte di Baronio, suo contemporaneo e quasi suo concittadino, essendo nati in località distanti appena due ore l'una dall'altra. Paleario non morì cardinale; dopo di aver trascorso tre anni nelle prigioni dell'Inquisizione, fu tratto alla forca e bruciato nel 1570.
Non si riesce oggi a comprendere come un uomo abbia potuto essere giustiziato per aver intrapresa, con la coscienza di un santo, la giustificazione della dottrina di Cristo.
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