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Quest'ultima frase, prettamente italiana, ci dà una giusta idea della natura delle persone.
Le truppe intanto avevano occupato i loro quartieri ed io mi misi in cammino per recarmi alla patria di Mario. Il carretto che mi portava correva a precipizio ed anzi, presso il ponte, gittò a terra una donna. Gridai, ma fortunatamente la poveretta si rialzò subito e il mio vetturino continuò a sferzare, bestemmiando, il suo ronzino. Per andare da Sora ad Arpino, conviene ripassare per Isola; prendemmo colà due signori di Arpino che lungo la strada furono molto loquaci, forse perchè evitai di parlare di politica; ma appena giunti in città, fecero, prudentemente, le viste di non aver veduto mai il forestiero.
In vicinanza di Sora passammo presso[307] il convento, già famoso e ora rovinato, di S. Domenico. Sorge in un'isola del Fibreno o Carnello, nome questo, che assume poco prima di sboccare nel Liri, in una località bellissima, ricca di piante dove sorgeva la villa che vide nascere Cicerone e suo fratello Quinto.
Questo S. Domenico fu un santo del secolo X, contemporaneo di S. Nilo e di S. Romualdo nato a Foligno nel 951, fu monaco benedettino a Montecassino sotto l'abate Aligero; fondò parecchi monasteri nella Sabina, e nel 1011 questo, aderendo alle preghiere del conte Pietro di Sora, di stirpe longobarda ed esistono tuttora i documenti di quella fondazione. Domenico vi fu abate, e vuole la tradizione che Gregorio VII vi sia vissuto qual monaco benedettino.
Quante volte non avrà quell'uomo grande e singolare passeggiato fantasticando sotto i pioppi dell'isola di Cicerone; certo però non si sarà mai immaginato di dover vedere un giorno un imperatore ai suoi piedi in atto di penitente e di dover sostenere in Roma ed anzi nella storia del mondo, una parte ben più importante di Mario o del debole Cicerone.
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