La caduta di Arce sgomentò tutte le città ghibelline del regno e fu preludio alla sconfitta di Manfredi.
L'antica rocca dei Volsci sorge su una rupe alta, scoscesa, dove ancora ne rimangono le vestigia, attorniate da mura ciclopiche, mentre la città moderna si stende sul pendìo del monte. La disposizione di tutti questi paesi è identica; in alto la rocca, al disotto la città. Nella rocca si rifugiavano nel medio evo gli abitanti della città e delle campagne, quando erano minacciati dalle scorrerie degli Ungheri e dei Saraceni dell'Africa. Non è possibile percorrere le sponde del Liri, soprattutto la ridente pianura di Aquino, senza ricordare il terrore che vi portarono una volta i Saraceni. Per ben trent'anni essi funestarono le contrade fra il Garigliano o Liri e Minturno, facendo scorrere per la Campania, la Tuscia e la Sabina, saccheggiando e distruggendo i monasteri di Montecassino, di S. Vincenzo al Volturno, di Subiaco e di Farfa, riducendo in cenere gli archivi e le biblioteche, perdita questa irreparabile. Solo nell'agosto del 910 poterono esser cacciati, da una lega italo-bizantina,[322] per opera dell'energico papa Giovanni X, e un papa si ornò della gloria di essere stato il salvatore d'Italia.
Al disotto di Arce vi è una dogana, denominata le Muratte; ivi mi fu chiesto il passaporto, ma fortunatamente non mi fu visitato il bagaglio. Avevo però preso la precauzione, con l'aiuto del mio auriga, un giovane arpinate molto svelto, di nascondere accuratamente nella carrozza un libro, ed il manoscritto del mio giornale di viaggio che cavammo in trionfo fuori dal loro ripostiglio non appena la dogana fu oltrepassata.
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