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Il giovine cavaliere senza far altre parole s'assise sullo scoglio presso a Bice. Tutti tenean gli occhi rivolti sopra i monti di Tremezzo fra i quali il sole si era pur allora nascosto. Giganteschi nuvoloni spinti a furia dal vento si vedevano svolgersi, avvoltolarsi, trasfigurarsi in cento maniere fantastiche, tinti d'un vivo rosso di fuoco. La luce andava ritraendosi dietro quelle montagne, e si estinguea a poco a poco sulla faccia delle cose, che di momento in momento, cominciando dalle più lontane, e quindi venendo innanzi a gradi, si vedevano impallidire, annebbiarsi, perdere i contorni, pigliar varie figure indistinte, irrequiete, vacillare, dirò così, dinanzi agli occhi, e sfumar via e spegnersi del tutto. Chi guardava il cielo là dove il sole era caduto, lo vedeva ancor rosso, ma abbassando lo sguardo dalle più alte vette giù per la china fino alla riva del lago, non vi discerneva gli alberi, non vi trovava più le case; i seni, le prominenze erano sparite; tutta la montagna non parea più che una grande ombra disegnata nel cielo, e quell'ombra stessa veniva sempre confondendosi, dileguandosi, svanendo, e non era più. Le tenebre vennero innanzi a mano a mano sempre più dense, più fitte, e i nostri naufragati furono alfine involti in tanta oscurità che appena si potean vedere l'un l'altro. Sul mutabile piano del lago si potevan però anche fra quel buio discernere fino ad una certa distanza gl'infuriati cavalloni che sfioccandosi nel giungere alla maggiore altezza, biancheggiavano minacciosi, ricadevano gli uni su gli altri incalzandosi a vicenda, e venivano a flagellare lo scoglio come se minacciassero d'ingoiarlo, e ridomandassero la preda che era stata loro tolta.
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Bice Tremezzo
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