Tornava colla mente ai lieti giorni passati in quel luogo, prima che vi giugnesse quell'ospite fatale. La sua madre, la sua ancella, il suo liuto, i suoi libri, il suo baio: ma il cuore non rispondeva più a quelle immagini un giorno sì potenti su di lei; era come a toccare i tasti d'un gravicembalo a cui fossero state tronche le corde.
Il domani, che veniva ad essere il giorno antecedente a quello della partenza di Ottorino, fu destinato dal conte alla caccia del falco, e Bice era già inteso che non vi doveva mancare. - Voglio che vediate volare i miei uccelli, - diceva il padre di questa al suo ospite, - e mi saprete dire se Marco Visconti ne ha che vi possano stare a paro: vedrete, sparvieri, girifalchi d'Irlanda, di Norvegia e di Danimarca; ne ho di nidiaci, ne ho di pellegrini; e che superbe mute di cani tanto da fermo che da sangue! Ho poi a mostrarvi il mio falcone favorito, addestrato da me, perchè io mi spasso ad acconciarne qualcuno a mia mano con dei nuovi trovati, con certe mie arti; basta, vi farò vedere.
Quello stesso giorno venne una lettera da Como, al ricever della quale Ermelinda stette lungamente in colloquio col marito. Bice dalle sue camere, ove s'era rinchiusa in compagnia dell'ancella, udiva la voce dei genitori che pareva concitata dal calore d'una contesa, ed avvisò troppo bene quale potesse esserne il soggetto.
Tutta la giornata ella potè star lontana dalla madre e non si trovò seco che la sera a cena. La vedeva allora, taciturna, accorata, che la guardava qualche volta in faccia come se avesse un segreto da rivelarle, ed essa per la tema d'aversi pure a trovar sola con lei, come prima potè farlo onestamente, sotto scusa d'aversi a levar presto la mattina per la caccia, prese buona licenza e si ritirò. Chiusa che fu nelle sue camere, si sentì come riavuta e s'assise dinanzi a uno specchio a farsi raccogliere le chiome dalla sua Lauretta per coricarsi tosto.
| |
Ottorino Bice Marco Visconti Irlanda Norvegia Danimarca Como Ermelinda Lauretta
|