- Alla fine che ho poi fatto di male? non ho fatto che obbedire a mio padre.
- Sì, tu eri ben sollecita d'obbedir tuo padre in questi giorni, più sollecita che nol fosti mai. Una volta facevi qualche caso anche de' miei consigli, e senza parer disdire a lui, ti governavi in modo... Ma via, poveretta, non è mia intenzione di rampognartene, tu non sapevi di darmi sì gran travaglio... hai potuto credere... è vero, la colpa è forse in parte anche mia, che non ti ho parlato finora con quella risoluzione... Anch'io sperava pure... ma adesso che so positivamente...
- E che cosa sapete? - domandò la fanciulla fissando gli occhi negli occhi della madre, come se avesse voluto cavar fuori innanzi tratto da quelli il senso delle parole che la bocca si preparava a profferire.
- So che Ottorino... insomma tu non devi pensare più a lui, perch'egli ha già data la sua parola... e fra poco dev'essere sposo della figlia di Franchino Rusconi, signore di Como.
Bice si fece rossa come una bragia, poi diventò smorta che parea levata dal sepolcro; con tutto questo tentò padroneggiarsi un momento ancora, accennò colle labbra tremanti un sorriso, che tosto vi si scompose; e sbattuta e vinta dalla passione si mise a piangere.
La madre riconobbe in quel pianto l'intera confessione che la vergogna non aveva acconsentito alle parole, e però abbracciando il capo della figlia e chinandosi a baciarla, a farle le più affettuose carezze, le diceva: - Sì, piangi, mia cara, piangi con tua madre... Credi tu ch'io non ti sappia, ch'io non ti debba compatire? ch'io t'abbia a voler manco bene per questo? che tu mi sii scaduta in nulla da quel che mi sei sempre stata finora? no, la mia cara, no, la mia buona figliuola.
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Ottorino Franchino Rusconi Como
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