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      - Ma dunque aveva ragione io? - insisteva pure Lauretta.
      - Se non mi vuoi lasciar finire!
      - Sì, sì, dite pure, dite su, che non fiato.
      - Di lì a un anno, ascolta bene, Ermelinda era un giorno a caccia sul pian di Colico, e staccatasi dalla brigata, si vide cavalcare incontro un uomo armato, colla visiera sul volto, il quale giuntole a pari, la ferma e dice: "Vengo a domandare alla contessa del Balzo il segno lasciato da Marco ad Ermelinda". Ella riconobbe tosto la voce, e fu per cascar di cavallo, pure ebbe tanta forza ancora da cavarsi di seno la lettera e la catenella che portava sempre addosso, e presentarle al cavaliere che le avea fatta quella richiesta.
      - Era Marco, è vero?
      - Proprio lui. Lesse lo scritto, osservò la catenella e digrignando i denti, come una bestia feroce, esclamò: - La lettera è falsa, la catenella m'è stata rapita: fummo traditi entrambi. Addio, Ermelinda, non ci rivedremo forse più; ma se questa smania che ho addosso mi lascia in vita ancora qualche tempo, sentirete parlar di me -. E rivolgere le briglie, cacciar gli sproni nel fianchi del cavallo, e sparir tra il folto di alcune macchie, fu tutt'una.
      - Povero giovane! - esclamò allora la figlia tutta commossa, - povero giovane!
      - Col tempo, - tirava innanzi Marianna, - si è saputo che la catena era stata levata dal collo di Marco mentre ch'egli era per malattia in fin di morte, e mandata al Crivello, dì un po' da chi? da quello stesso palafreniere che avea bussato al mio uscio quella notte così fatta, e che scappato poi via insieme col Visconte, s'era posto al suo servizio.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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