Finalmente egli fu esaudito, e dopo otto mesi di patimenti, i Visconti uscirono dalle celebri prigioni dette i forni di Monza; certe camerucce disposte l'una sopra l'altra ne' vari piani della rôcca; nelle quali si calava da un buco che era nella vôlta; buie del tutto, col pavimento convesso e scabro, così basse, così anguste, ch'uno non si potea recare diritto sulla persona se stava in piedi, non distendersi ove si fosse voluto mettere a giacere, ma dovea starsene accoccolato o ravvolto, con tormento indicibile. Galeazzo medesimo avea fatto fabbricare quegli orridi luoghi per tormentarvi i prigionieri di Stato, e fu egli il primo a provarli, adempiendo in sè una predizione che era corsa nel tempo appunto che si stavano costruendo.
Consumato dal travaglio della prigionia sofferta, Galeazzo, pochi mesi dopo la sua liberazione, morì sotto Pistoia; e in Milano dove il barone di Monteforte s'era già reso insopportabile, si scoperse in quell'occasione un grosso partito a favore di Marco.
Ma, sia che a Lodovico il Bavaro desse ombra il nome di quel formidabile capitano e l'affetto stesso dei Milanesi per lui; nè potesse sperare di signoreggiar a grado suo un umore come quello; sia che non s'arrischiasse di mutar l'ordine di successione già stabilito dalla consuetudine; o che i signori ghibellini lo mettessero in sospetto della fede di Marco; o sia in fine che i due fratelli di questo, Luchino e Giovanni, che dovevano amar meglio la signoria del giovine nipote Azzone, abbiano saputo preoccupare l'imperatore con larghe promesse di danari, di cui avido sempre, era a quel tempo bisognoso oltre ogni credere; fatto sta, che Lodovico di Baviera nominò suo vicario della città e distretto di Milano Azzone Visconte figlio di Galeazzo, il quale si obbligò a pagargli una grossa somma per l'investitura.
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