- Quel ch'egli è davvero, uno scismatico, un ipocrita.
- Dunque bisognerà che ci mettiamo a scuola anche noi a imparare il gergo dei guelfi.
- A questo modo saremo ribenedetti, - disse Marco.
- Sì, ma ci scomunicherà poi quell'altro, - replicò Ottorino.
Allora il celebre capitano, facendosi grave, incominciò:
- In fine, anche tu capisci bene che il papa legittimo è quello d'Avignone. Egli ha perseguitato mio padre, la mia famiglia, tutti gli amici nostri; ci ha scomunicati, ci ha bandita la croce addosso, ci ha fatto il peggio che ha potuto; ma non per questo ha cessato d'essere il vero pontefice. Credi tu che in tanti anni che gli fui nemico, io fossi in pace con me stesso sapendomi in sentenza della Chiesa? -
Il giovane che non avea mai sospettato nulla di simile nell'animo del glorioso suo cugino, lo guardava in volto fuor di sè per la maraviglia; e quegli proseguiva con un'aria turbata: - La memoria del mio povero padre ha contristata sempre la gioia d'ogni mio trionfo. Quel venerando capo, segno per tanti anni ai fulmini del pontefice, ben sai come si fosse elevato glorioso sopra quello d'ogni altro principe d'Italia. Egli, vincitore delle armi temporali del suo nemico, ne schernì mai sempre le spirituali; ma quando pieno d'anni sentì l'avvicinarsi dell'ultimo suo giorno, sentì che il mondo gli sfuggiva dinanzi, ebbe spavento di quello onde s'era fatto giuoco per tutta la vita. Oh! non mi uscirà mai di mente la notte ch'egli agitato da fieri fantasmi fece raccôrre tutti i suoi di casa e tutto il clero di Monza in S. Giovanni, e inginocchiatosi innanzi all'altare, recitava il simbolo della nostra fede, protestando di voler morire nel grembo di Santa Chiesa, piangendo a calde lagrime per non poter posare il morto capo in una terra consacrata.
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