Allora Ottorino si fece presso ad Ermelinda, e le partecipò tutto quello di che s'era parlato, rendendole ragione dell'improvviso retroceder di Lupo. Egli si studiava intanto di volger la parola anche alla figlia, di dare un tal giro al discorso, da obbligarla essa pure a prendervi parte; ma Bice, non che aprisse mai bocca, non gli fece pur dono di levargli incontro gli occhi, che tenea bassi e raccolti; anche la madre, quand'ebbe inteso tutto quello che riguardava le cose di Limonta, parve che facesse studio di lasciar cadere ogn'altro soggetto di ragionamento, e rispondeva asciutto e freddo quanto la naturale sua cortesia lo poteva comportare.
Il giovane, sbaldanzito da quel contegno, perdevasi in un labirinto di sospetti. - Che Bice non abbia ricevuta la mia lettera? ch'ella disdegni l'amor mio? che alla madre non paia onesto il parentado? che forse l'avessero a quest'ora già destinata ad altre nozze? -.
Per uscire il più tosto da quel dubbio, egli staccò il Conte dalla comitiva, cominciò con bel modo a parlargli della sua figlia, e d'uno in un altro discorso, chè non ve la voglio far più lunga, gliela chiese bell'e netto per donna. Il padre della fanciulla si distese in molte lodi della famiglia, della persona del giovane; ma in fine cominciando a balbettare, venne a lasciarsi intendere ch'egli non avrebbe voluto a patto veruno aver de' guai con Marco, il quale per quanto gli era stato detto dalla moglie, dovea aver fra mano d'accasarlo egli a suo modo.
Ottorino rispose, come avesse fiducia che tutto sarebbe passato col buon piacimento di Marco, il quale in quella briga non avea altra mira che di contentar lui, ma che in ogni modo egli era padrone di sè, e per quanta riverenza avesse per quel signore, non era alla fine nè suo vassallo, nè suo figliuolo, che non avesse potuto tôrre chi gli era più a grado, lo volesse egli, o non lo volesse.
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