CAPITOLO XI
Una lucerna d'argento a tre luminelli ardeva nella camera segreta di Marco Visconti, spandendo all'intorno un soave profumo. Lodrisio, seduto su d'uno sgabello a bracciuoli senza spalliera, con un gomito appoggiato s'un tavolino e il mento nella palma, stava favellando al padrone di casa, il quale l'ascoltava con aria distratta e come travagliato da qualche suo pensiero.
- Di questo possiam viver sicuri, - diceva l'astuto consigliero; - oggi il duca di Monteforte ha toccati i venticinquemila fiorini d'oro che Lodovico il Bavaro gli ha assegnati sul vostro nipote Azzone, e domani piglierà la via del Tirolo colla sua banda alemanna per non lasciarsi più vedere. L'imperatore, che l'aspetta in Toscana coi danari, così asciutto come è al presente, quando sentirà un bel mattino che il suo conte se l'è fatta, per la vita mia ch'ei vuol rimaner goffo! Ma sapete che codesto è stato un colpo da maestro? sbarazzarci un tratto da costoro! e chi poteva rischiar mai nulla di nuovo finchè non ce li fossimo levati da dosso?
- Certo! - rispose Marco sbadatamente.
- Con tutto ciò, - ripigliava quell'altro, - avete ogni ragione di quanto mi dicevate stamattina, che l'impresa non è per anco matura, che bisogna lasciar tempo ai preti ed ai frati mandati dal papa di fare il loro effetto; bisogna lasciar che il Bavaro s'assottigli sempre più di gente e di danaro, come va facendo, ogni giorno. Oh appunto! sapete, cugino? gli ottocento cavalli alemanni, che s'è detto aver abbandonato le sue bandiere per ragione degli stipendi che non correvano, si son fortificati in Val di Nievole nel Castello del Ceruglio.
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