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      - Ma in quella che il marito obbedendo alla voce di lei s'accostava alla tavola, la donna s'accorse d'aver messo un tagliere di più, pigliò affrettatamente una delle tre scodelle e la posò in terra, volendo far sembiante di averla riempita pel cagnolino; al marito però non isfuggì quell'atto sollecito e turbato; notò egli quel terzo cucchiaio che rimaneva tuttavia sulla tavola ad un posto consueto, rivolse la faccia altrove per non lasciarsi scorgere commosso, prese il suo piattello, il cucchiaio, e tornò al posto di prima.
      Marta chinò il capo sul petto, stette un momento per ricomporsi, poscia chiamò per suo nome il barboncino, il quale levando appena il capo d'in fra le gambe, dimenò lievemente la coda e non si mosse; ond'ella accostatasi al letto accarezzandolo colla mano e colla voce, lo prese su, e portollo presso la vivanda. Quel cane ella non l'avea mai veduto di buon occhio; l'aveva avuto, si può dire, sempre in uggia, e per sua cagione avea garrito qualche volta il figliuolo, perocchè in quegli anni che andavano sì scarsi le sapeva male di dar quel po' di sopraccarico alla grama famigliuola; ma dopo che Arrigozzo fu morto, il mancare al povero animale d'alcuna di quelle cure ch'egli era solito avergli, il dirgli una mala parola, il fargli un atto sinistro, il non volergli bene, le sarebbe parsa una cosa nera, un delitto, un sacrilegio.
      Il cagnolino ringraziava a modo suo la padrona di quella insolita sollecitudine, con un mugolìo che somigliava al gemere d'una persona; da ultimo abbassò il muso sul piattello, leccò un momento, e poi balzò di nuovo sul letto, vi si acchiocciolò come prima, e fu quieto.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





Arrigozzo