- Insomma? - domandò Marco.
- È uno scudiere di Ottorino, un certo Lupo, figlio di un falconiere del conte del Balzo; è stato lui che ha ammazzato il Bellebuono: v'ho già detto che presso al cadavere fu trovato un giaco e una soprasberga, è vero?
- Sì, me l'avete detto.
- Bene, è stata riconosciuta per roba di codesto Lupo, e mi assicurano ch'ei tornerà presto qui in Milano in casa di Ottorino, come se nulla fosse. Del resto, vi ripeto: sono ben persuaso che Ottorino non c'entra: lasciando stare la parentela che corre fra la sua e la mia casa, egli sa com'io sto bene nella vostra grazia, e certo che si sarà guardato dal farmi dispiacere. E poi si vede troppo chiaro che quel villan rifatto ha operato di suo capo, chè essendo Limontino, egli ha voluto aiutare i suoi... Sicchè era venuto per domandarvi licenza... per pregarvi, che siate contento...
- Di che cosa?
- Che il monastero di S. Ambrogio, come conte di Limonta, eserciti i suoi diritti di signoria per punire un suddito fellone.
Marco pareva esitare a dar la risposta; e l'altro lo veniva sempre più stringendo col dire: - Se si trattasse d'un'offesa fatta a me, potrei perdonarla; ma, vedete bene, ne va dell'onore e dell'interesse del Monastero.
- Sì, sì, la solita canzone, - disse Marco interrompendolo: - del resto, fatene pure come di vostro; che cosa c'entro io in codeste brighe?
- L'ho fatto per mostrarvi la mia osservanza e la gratitudine che vi debbo per tanti favori, - diceva l'abate, - non crediate che sia per dimenticarmi che anche questa mia nuova dignità è stata un vostro dono.
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