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      Il conte del Balzo era rimasto solo in compagnia di Marco: ambedue desideravano di trovarsi insieme; ambedue avrebbero voluto che si avviasse fra loro un discorso per riunire ciascuno al punto che s'era proposto; ma nessuno parlava, sperando che il compagno fosse il primo a rompere il guado, a dir qualche cosa che desse appiccoMarco s'era messo a passeggiare, e l'altro gli andava dietro non sapendo da che parte farsi: preparava in mente cento esordii, li rifiutava, stava ad ogni momento per aprir la bocca, senza venir mai ad una conclusione. Finalmente si fece coraggio, e disse qualche parola intorno alla festa; ma il compagno lasciò cader subito quel discorso, cosicchè il padre di Bice pensò che bisognava proprio venire ai ferri per la più breve. Fece la magnanima risoluzione e incominciò:
      - Sentite, Marco, vi parrà forse ch'io faccia troppo a fidanza, ma la gentilezza vostra mi affida; io... vorrei domandarvi una grazia...
      - Una grazia? a me? - rispose Marco andando verso il vano di una finestra, dove il Conte lo seguitò. Queste parole furon porte con una voce di fredda e maravigliata alterezza, che fece morir in bocca al poveraccio cui furon dirette, quelle altre che vi stavan preparate per venir fuori.
      Poichè il Visconte fu restato un momento in silenzio, quasi aspettando una risposta a quel suo superbioso a me? - risposta che non venne mai: - Non potreste piuttosto chiederla al Rusconi codesta grazia? - domandò con un sorriso pieno di amarezza e di veleno, - egli che vi deve aver tant'obbligo, sarebbe forse più inchinato ad accordarvela.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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