- Ditemi: codesto Lupo è pur uno scudiere di qualcuno che m'avete nominato poco fa?
- Sì, è un suo scudiere.
- Suo? di chi?
- Di lui... di quel vostro cugino... di quel cavaliere... - rispondea la donzella, e non sapea assicurarsi a pronunziarne il nome.
- Dite, di chi...? - le intimò egli fieramente.
- Di Ottorino, - disse Bice, facendosi in un tratto tutta di fuoco.
- Ora rispondetemi, come rispondereste al confessore in punto di morte, - seguitava Marco con voce cupa e tremante, - è egli per condiscendere a costui che siete venuta a domandarmi la grazia di Lupo?
- Era mio padre che ve ne dovea pregare.
- Non è questo che domando. Ditemi per l'anima vostra, se è stato egli che vi ha disposta a questo passo.
- Sì; anch'esso ha pregato mio padre, perchè essendovi in disgrazia, non s'assicurava...
- Ah voi sapete ogni suo segreto!... e quando l'avete visto?
- Pochi momenti prima d'entrare nella vostra casa.
- E lo vedete ogni giorno, è vero?... e la promessa... che gli avete data... ditemi... veniva ella dal cuore?... siete presa di lui? dite... ditelo, al nome di Dio.
Bice taceva tutta spaventata.
- Non lo negate dunque!
- No, non lo nego, - profferì fievolmente la fanciulla, - egli... dev'essere mio sposo.
- Morte e dannazione! - proruppe Marco con una voce di fremito compressa; e strappando in così dire dalle mani di Bice la lettera, le si avventò contra furioso come se volesse farla a brani.
La poveretta si sentì vacillar le ginocchia, intenebrarsi gli occhi, e cadde svenuta sul pavimento.
Il Visconte la stette guardando un istante con occhio torvo e sanguigno; la destra gli corse involontaria al pugnale, ma ne la ritrasse tosto; mise la lettera nella cintura della tramortita, poscia uscì a precipizio: e giù per una scala segreta riuscì in un cortiletto interno.
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