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      Il Conte, lasciata la figliuola, la quale si gettò fra le braccia della madre, fece segno ad Ottorino che lo seguitasse, e quando furono in un salotto terreno, mettendogli in mano la lettera di Marco:
      - Questa, - disse, - è la grazia del vostro scudiere; andate, che Dio v'accompagni tutt'e due, ma fate conto di non avere a veder mai più la mia casa nè l'uno nè l'altro; - e ciò detto, diede una giravolta, e corse a rinchiudersi nelle sue camere.
      Ottorino guardò quella carta, riconobbe la mano, riconobbe il sigillo di Marco; e la repentina gioia della salvezza del suo fedele gli ammortì, e quasi gli tolse a tutta prima il sentimento della strana e crudele intimazione che gli era stata fatta.
      Corse egli in una sala, dove intanto s'eran radunati tutti gli altri, e levando in alto la mano che teneva la lettera del Visconte: - Grazia! grazia! - gridava, - è qui la lettera di Marco. - Tutti gli furono addosso per vedere, per toccare quella carta benedetta; gridavano, piangevano, s'abbracciavano l'un l'altro. Il padre di Lupo volle averla in mano, e la baciava e la bagnava di lagrime e la veniva mostrando in giro alla sua donna, a Lauretta, e all'altro figlio.
      - Presto, a cavallo! - gridò Ottorino, - chè il tempo stringe. - Furono allestiti due palafreni, uno per lui, l'altro pel falconiere, il quale volle accompagnarlo: e via di galoppo verso Chiaravalle.
      - Dàlla qui a me la lettera, - disse il cavaliere ad Ambrogio, - dàlla qui a me, che la riporrò.
      - Oh! lasciatemela, - rispose questi pregando; - vedete, l'ho qui sul petto; se non la sentissi, se non vi tenessi su la mano, mi parrebbe d'esser senza il cuore.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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