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      Lupo gli mise una mano sulla spalla, e disse: - So che me li profferisci di buona voglia, e già fra noi soldati si dà e si piglia collo stesso cuore: ma grazie a Dio, i miei parenti non hanno bisogno di nulla... Anzi, guarda, se volessi mandarne ne ho qui anch'io del danaro, - e così dicendo arrovesciò la tasca del farsetto, e fece cader sulla tavola un buon pugno di monete. - Siete sessanta soldati della vostra compagnia, è vero? - domandava poi.
      - Eravamo sessanta, ma ne abbiam lasciati undici pei vostri campi di Limonta in quella bella impresa, sicchè, se il conto mi torna, non dovremmo esser adesso che quarantanove.
      Lupo levò il capo, e gli balenò sul volto un sorriso di compiacenza al sentir rammentar quella gloria de' suoi cari paesani. - Ebbene, - soggiunse, - quelli che rimangono non avranno risguardo a fare un brindisi al condannato?
      - Anche due, - rispose il Vinciguerra; - io però non berrò di quel vino: la mia porzione voglio che vada in tanto bene che ti farò dire per l'anima.
      - Ma non dai monaci di Sant'Ambrogio, ve'! - replicò Lupo, - guardatene! chè non voglio che mi venga niente di là di codesti scismatici poltroni. Oh appunto, mi scordava d'una cosa: ho anche un fratello col quale veramente ce la siam sempre detta poco, ma in fin di morte bisogna che nol lasci del tutto in un canto, se non fosse altro, per amor di mia madre che gli vuol tutto il suo bene: qualche cosa bisogna che mandi anche a lui: ho qui questo crocifissino d'argento, ma questo voleva donartelo a te per mia memorla, e non saprei.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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