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      Il cortile del palazzo del Monastero, il portico che vi correva intorno, e dal quale si entrava nel camerotto di Lupo, era tutto pieno di curiosi: gente scioperata, che, come accade in tutti i tempi, in tutti i luoghi, accorre a vedere l'estremo supplizio d'un uomo come ad una festa, ad una specie di tripudio selvaggio: forse per quel diletto arcano che si prova, senza ch'uno possa rendersene ragione, contemplando la natura umana nelle più forti e dure prove, esercitando l'animo al terrore, alla compassione, studiando sè stesso in altrui, considerando il mistero della vita e della morte.
      Era già passata l'ora in cui il condannato dovea esser condotto al patibolo, e la plebaglia pazza cominciava a mormorare del ritardo. Il Vinciguerra, che si sentiva rodere al vedere quella stupida e feroce impazienza, se ne ricattava dando coll'asta dell'arme sulle braccia, sulle spalle ai più sfacciati, sotto ombra di tener lontana la folla dall'uscio.
      Finalmente s'intese un rumore che si propagava, e molte voci che ripetevano: - Vengono! vengono! - La gente a urtarsi, a ondeggiare, a rizzarsi in punta de' piedi volgendosi verso la porta che dal cortile dava sulla via. Il Vinciguerra corse entro il salotto per trovarsi presto alla fazione assegnatagli, e Lupo riscosso dai passi di lui, che gli sonaron vicino, si levò in piedi, fece il segno della croce, e con una faccia serena gli disse: - Siamo a tempo?
      In quella s'apre l'uscio, vengono innanzi due delle quattro guardie che vi stavan di sentinella, e dietro ad esse un monaco con una carta fra mano.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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