Attraversando la calca contenuta a stento dalle guardie, Lupo e suo padre giunsero sulla piazza di Chiaravalle: innanzi alla chiesa trovarono Ottorino, e presso di lui alcuni villani che tenevano tre palafreni a briglia. Il giovane cavaliere gettò le braccia al collo del suo fedele, e tutto all'intorno risuonò di evviva e di battimani. In un momento furono in sella tutti e tre.
- Non venite a render grazia all'Abate? - disse il monaco a Lupo. - Questi guardò in faccia al suo signore, ed avendolo visto fare un certo atto, levando nello stesso tempo le spalle, come se volesse dire: eh non badarci! rispose: - Ho troppa fretta per ora.
Il Vinciguerra, che aveva accompagnato Lupo fin là, gli pose al collo la catenella d'argento, e trattisi parimente di tasca i danari che dovea distribuire alla compagnia: - Prendi - gli dicea, - questa è roba tua. - I danari tienteli - rispose il Limontino - e li berrete insieme stasera alla mia salute. - Volentieri, - replicò la guardia, - e questa volta mo ti prometto di fartene onore anch'io... Oh! a proposito; e il tuo crocifisso d'argento? mi scordava di restituirtelo. - Tienlo per te, tienlo per mia memoria, - rispose Lupo stringendogli la mano, e s'avviò in compagnia del padre e di Ottorino in mezzo alla folla che s'apriva dinanzi per lasciar loro il passo.
Quando furono in fondo alla piazza, voltando a mancina per imboccare in una viuzza, Lupo si vide in faccia la forca che gli era preparata, e facendole un saluto colla mano, disse ad alta voce: - Addio, gioia cara!
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