Azzone avendo visto Arnaldo Vitale nel punto che questi, toltasi da lato la propria spada, ne faceva un presente al giudice della quintana e si cingeva quella ch'erasi guadagnata, si volse ad un suo scudiere che stava in piedi dietro al seggiolone dorato sul quale egli sedeva, e gli disse: - Senti, Lampugnano, va giù nello steccato e fa di condurmi qui il trovatore, quel che ha vinto il premio della quintana. - Mentre il giovane se n'andava ad eseguire quel che gli era imposto, il Vicario parlando co' suoi due zii, in mezzo ai quali trovavasi, diceva: - Intanto che si sgombera la lizza e che i combattenti si mettono in punto pel torneo, gli farem cantar qualcosa. - Luchino fece un atto non curante, ma il suo fratello Giovanni, che, sebben vescovo e da poco tempo anche cardinale, era amico di tutti gli spassi, di tutte le pompe, di tutte le morbidezze del viver secolaresco d'allora, domandò al nipote: - Dite un po', è forse quell'Arnaldo Vitale che pochi anni sono s'è guadagnato a Tolosa il premio della violetta di fino oro, aggiudicatogli dai sette mantenitori della gaia scienza?
- Appunto, - rispose Azzone.
Allora il prelato si fece a dirne mirabilia, ch'ei l'aveva sentito esaltare presso tutte le Corti d'Italia, e sapeva a mente alcune delle sue canzoni; e siccome non gli era sfuggito l'atto non curante di Luchino, ch'egli spesso riprendeva come rozzo e zotico in fatto di arti gentili, entrò a far l'elogio dei trovatori e dei menestrelli: che ai principi veniva fama e splendore dal tenerli amici; che al popolo piaceva più chi fosse più largo con tal sorta di gente; che Marco doveva in parte quel gran favore di cui godeva, alla liberalità che aveva sempre usate ai cantori: insomma ne disse tante e tante che fu troppo.
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