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      Ne moría, ma gli fur pronteLe larghezze del suo sere:
      Ei lo cinse cavaliere,
      Di Narbona lo fe' Conte;
      E in un giorno gli diè sposaLa leggiadra disdegnosa.
     
     
      Forte d'armi apparecchio s'adunaDi Tolosa pei campi e pel vallo,
      Che far triste un ribelle vassalloIl signor di Provenza giurò.
      Non vi manca bandiera nessunaDi baron, di cittade soggetta:
      Verso Antibo già il campo s'affretta,
      Ne' suoi piani le tende piantò.
     
      A Folchetto che a par gli cavalcaDolcemente Raimondo favella:
      Perchè sempre sì mesto? la bellaChe sospiri, fra poco verrà.
      Di Narbona il cammino già calcaUn corrier che a chiamarla ho spacciato;
      Troppo presto da lei t'ho strappato,
      Del tuo duolo mi strinse pietà".
     
      Ecco il giorno in che Nelda s'attende,
      Ecco un altro, ed un altro succede,
      Passa il quarto, ed il messo non riede,
      E la bella aspettata non vien.
      La città combattuta s'arrende,
      Già caduto è il ribelle stendardo:
      Vien Folchetto al suo fido leardo,
      Chè più nullo rispetto lo tien.
     
      Alla volta del grato castelloTutto un giorno viaggia soletto;
      Poi svïandosi verso un borghetto,
      Che di mezzo agli ulivi traspar,
      Leva gli occhi al veron d'un ostelloAl cui piè l'onda irata si frange,
      E vi scorge una donna che piangeIntendendo gli sguardi nel mar.
     
      Al portar della bella persona,
      Al sembiante, al vestir gli par dessa:
      Palpitando al verone s'appressa:
      Ella è Nelda, più dubbio non v'è.
      Sulla strada il cavallo abbandona,
      Di sospetto tremante a lei vola:
      Tu, mia sposa, - le grida, - qui sola?
      E piangente?... di' come? perchè?".
     
     
      Sciolta le chiome, pallida,
      E pur secura in viso,


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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