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      Appena che il trovatore fu uscito, Azzone affacciossi al pergolo, e quello fu il segnale di dar principio al torneo. L'arena erasi sgombrata d'ogni impedimento; il popolo che ne entrava e ne usciva a suo grado, finchè s'era corsa la quintana e l'ariete, n'era stato escluso: calate tutte le sbarre intorno allo steccato, un araldo ne fece il giro a cavallo gridando quattro volte ai quattro lati del medesimo: "Udite, udite, udite il bando dalla parte del magnifico messer Azzone Vicario del serenissimo signore Lodovico Imperatore de' Romani. Che nessuno sia tanto ardito di entrar nella lizza finchè dura il torneamento, di favorire, o sfavorire, alcuno dei combattenti con fatti, con parole, o con cenni, a pena di perdere il cavallo e l'armatura, se chi commette il forfatto è cavaliere o scudiere; di perder l'orecchio, se è artigiano o villano; il pugno, se è servo; il corpo, se è persona infame".
      Finito questo, sei giudici del torneo, vestiti di lunghe robe di seta, s'affacciarono ad una loggia vicina al palco del Vicario. innanzi alla quale fu inalberato un gonfalone inquartato d'argento e di scarlatto.
      In mezzo a tanta moltitudine non avreste più sentito uno zitto: tutti eransi affollati ai parapetti delle torricelle, dei loggiati e dei palchi; lo stecconato all'ingiro, dove non era piantato alcun edilizio, brulicava di persone pigiate, calcate addosso alla sbarra; e gli occhi di tutti eran rivolti quali all'uno, quali all'altro degli estremi opposti della lizza, dove erano piantate due vaste e ricche tende, rosse quelle a destra del Vicario, bianche quelle a sinistra.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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