Gettate le lance dopo il primo abbattimento, i cavalieri poser mano alle spade, chiamate di marra, perchè spuntate e senza filo: ma salde, pesanti, e tali insomma che calate sull'elmo d'un cristiano da quelle braccia che non avean fatto mai altro mestiere, se il colpo veniva bene, fracassavano qualche volta il capo che v'era dentro. o almanco almanco l'intronavan in modo da farlo tentennar per un bel pezzo. Intanto gli araldi, i maestri e gli aiutanti di campo, i quali stavan osservando se si combatteva lealmente, e se tutti facevano il dover loro, non restavan dal gridare: - Cavalieri! cavalieri! ricordatevi di chi siete figli e non tralignate.
Il combattimento durò forse più di un'ora con varia fortuna: ma alla fine i bianchi parevano sconfitti; quattro dei loro erano stati portati alle tende sconciamente feriti; gli altri, incalzati dagli avversari, andavan cedendo il campo; e già il Vicario che giudicava il loro caso spacciato, volendo risparmiar sangue, stava per dare il segnale che si cessasse; quando Ottorino, ricordandosi di Bice e delle parole ch'ella gli avea mandato dicendo pel suo scudiero, si sentì tutto infiammare di rabbia e di vergogna, gettossi lo scudo dietro le spalle, afferrò disperatamente la spada a due mani, e si spinse contro il capo dei rossi, che quel dì avea fatto miracoli, gridando: - Guardati, Sacramoro!
Il minacciato si coperse tosto il capo coll'ampio pavese, e intanto spinse il ferro di punta, e toccò inutilmente l'assalitore sulla corazza; ma questi vedendo l'avversario difeso in modo che il colpo da lui disegnatogli al capo sarebbe riuscito vano, invece di calare la spada dall'alto al basso, la rivoltò per aria, menolla furiosamente di traverso, ed entrando sotto lo scudo, colse Sacramoro nella guancia destra dell'elmo con tanta forza, che il percosso stramazzò dall'altra parte del cavallo, e fu portato alla tenda dei rossi colla mascella fracassata, e poco men che morto.
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Vicario Ottorino Bice Sacramoro Sacramoro
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