Ottorino non era mai stato chiamato nella lizza, che dopo le prove del giorno antecedente nessuno si arrischiava di misurarsi con lui.
Lo spettacolo durava già da due ore, e le cose andavan così fredde, che gli spettatori ne fur stufi e ristucchi fin sopra i capegli, e cominciarono a mormorare, poscia a fremere, in fine ad urlare bestialmente contro i cavalieri che avean si poca discretezza da non isbudellarsi un tantino per contentarli. Il popolo è cosi fatto, docile per lo più, maneggevole e pastoso; bisogna guardarsi bene dal toccarlo nei suoi spassi: allora è quando esce di pecora per farsi orso.
Ad acquetare quella bestia matta, comparvero gli araldi gridando che si sarebbe cessata la giostra per dar principio a un bigordo; così chiamavasi propriamente l'assalto dato ad un bastione, o ad un castello di legname, uno degli spettacoli favoriti di quel tempo. Ma in quella che si stava per pronunziare la formola usata per impor fine alle disfide, ecco si sente rimbombare nel bosco vicino il suono d'un corno: gli spettatori battendo delle mani, fecer segno che s'avesse ad aspettare il nuovo cavaliere annunciato da quel suono: vi furon pochi momenti di silenzio, poi fu visto entrare nello steccato un grande colla visiera chiusa, coll'armi di puro acciaio, senza colore, senza fregio, senza insegna nessuna; cavalcava un grosso stallone pugliese tutto nero come una pece, salvo che avea una stella in fronte ed era balzano da tre.
Il guerriero nuovamente comparso portava appeso all'arcione uno scudo liscio al par dell'altr'armi, volendo restare sconosciuto, ma gli venìa dietro uno scudiero con un altro palvese coperto d'uno zendado nero e lionato; colori che indicavano tristezza senza gioia.
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