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      Accostatosi ad una lucerna si mise a scorrere le soprascritte delle lettere, gittandole ad una ad una su d'un tavolino, di mano in mano che dal carattere veniva riconoscendo di chi fossero. S'abbattè poi in una, alla vista della quale fece un atto di maraviglia, scosse un campanello d'argento, ed al paggio, comparso tosto a quel suono, domandava: - Non è un solo messo che le ha recate tutte? - e accennava le lettere. - Tutte quel vostro familiare, - rispose il paggio, - tranne una che fu lasciata in palazzo da un corriere che seguitò tosto il viaggio per alla volta di Roma. - Va bene, - disse Marco, e il ragazzo uscì.
      Allora il Visconte gettando sul tavolino anche quell'ultima lettera che gli era rimasta in mano, seguitava a dir fra sè con un certo ghigno amaro: - Il magnifico mio nipote! non è poca degnazione codesta! -, e pigliatane poi una che avea messa da banda nel far la prima rassegna, l'aperse, e si mise a leggerla. Era una lettera di Lodrisio, il suo consigliere. Dal dì che Marco avea lasciata Milano, costui l'era sempre venuto ragguagliando di quanto vi accadeva: ogni settimana, un corriere era sempre in viaggio colle sue lettere e colle risposte di Marco scritte in cifra, com'erano rimasti fra loro, per condurre di concerto la trama avviata e pigliar partito secondo i casi.
      Appena era corsa voce che l'imperatore si volgeva verso Lombardia, Lodrisio cominciava a sollecitar Marco, perchè volesse metterglisi dietro cogli Alemanni ribelli del Ceruglio, e pigliarlo alle spalle, com'egli stesso avea deliberato da prima: intanto esso Lodrisio avrebbe fatto levar Milano a rumore, e sarebbe uscito ad incontrarlo colle truppe cittadine, avverse tuttavia ad Azzone, e che non volevano a patto veruno ricevere le bande affamate e ladre del falso imperatore.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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