Rimaneva ancora un forte appoggio alla causa di lui negli ecclesiastici mandati dal pontefice Giovanni per favorire i suoi disegni; ma questi pure, quando ebber visto che il loro amico non si movea dal Ceruglio, e che intanto il Bavaro s'avanzava a gran giornate verso Lombardia, sentirono la necessità di appigliarsi a qualche nuovo partito, se non voleano dar perduta affatto in questi paesi la causa della Chiesa, e trovarsi essi tutti fra le mani di Azzone, il quale, offeso intanto che era debole, se ne sarebbe ricordato tosto che si fosse trovato forte della forza del Bavaro.
Nè gli ecclesiastici ebbero a penar gran fatto a trovar questo nuovo partito; che se l'avvenire era scuro per essi, Azzone non lo vedeva punto chiaro nemmen per sè. Egli aveva inteso che l'imperatore avanzandosi verso Lombardia con un esercito indisciplinato e rivoltoso, colla rabbia addosso ch'era facile supporgli, era fuor dei gangheri principalmente con lui, sì perchè non gli avesse per anco pagate interamente le somme promessegli per l'investitura, e sì perchè sospettava ch'ei fosse d'accordo con Marco per non lasciargli tornare alle bandiere le genti del Ceruglio. Tremava il nuovo signore di Milano, e tremavano i suoi due zii Luchino e Giovanni, di quell'uomo iracondo, avaro, infedele, che avea tradito tutti i ghibellini d'Italia, che gli avea fatti stentar essi medesimi per tanti mesi nei forni di Monza, e non potevano sostenere il pensiero di aversi a trovare un'altra volta in sua balìa.
Con tali disposizioni dovea esser troppo facile un accomodamento: in fatti Azzone fece i primi passi verso il clero, lasciò correre qualche parola di sommessione, e il clero lo ricevette a braccia aperte.
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