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      Egli può odiarmi, può volermi morto... ma tradirmi... tradirmi no.
      - Oh non è ch'io... diceva solo... del resto, mi guarderei bene dal torcergli un capello.
      - Sì, guardatene, - rispose Marco, e tacque per un momento, esitando, come quegli cui premeva pure di tirare ad altro il discorso, e non sapea da che parte farsi per non lasciar intendere dov'ei volesse riuscire. Finalmente scappò fuori di secco in secco con questa domanda:
      - E che cosa si è detto in Milano del cavaliere sconosciuto che scavalcò Ottorino?
      - Se ne son dette tante! chi voleva che fosse il figlio del Ruscone, chi un cavaliere del re Roberto; ma egli, il giovane ferito, tosto che fu tornato nel sentimento, ebbe a dir con certi suoi amici, che non v'era in Italia altri che voi da poter far un colpo come quello.
      - Ma non gli fu guasta la persona? n'è ben rinfrancato, è vero? - domandò premurosamente il Visconte.
      - Non gli è pur rimasto uno sfregio; tutto lesto e fiorito come prima; tanto che per questo lato la figliuola del Conte non avrebbe a scapitarne...
      - E che è di lei? - interruppe Marco.
      - Di chi?
      - Di Bi... di quella che dicevi, della figliuola del Conte.
      - Ecco qui, dopo la giostra, per quattro o cinque giorni fu all'olio santo, più di là che di qua; poi cominciò a riavere il fiato; e il padre e la madre, che vanno pazzi del fatto suo, a starle d'attorno, a covarla, a farle mille moine; tanto che, tra il lasciami stare e il non voglio, l'han tornata nell'esser di prima; adesso fa ancora un po' della fastidiosa, le solite leziosaggini delle fanciulle viziate; ma non è nulla.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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