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      Ma quell'ira improvvisa fu come un lampo che gli rischiarò in un tratto la mente: ei vide che ci dovea esser mistero sotto; cominciò a pensare che Marco potesse esser preso egli medesimo della fanciulla, di cui si mostrava così tenero e permaloso, corse colla mente a tutte le faccende passate che gli eran parse un po' ardue da spiegarsi; e con quella nuova indicazione tutto gli diventò agevole e piano.
      Marco, come fu solo, si pose al tavolino, scrisse cinque o sei lettere, e poi fece chiamare novamente il suo castellano al quale le consegnò, dandogli varie istruzioni intorno al modo di ricapitarle; gli parlò ancora del suo castello di Rosate e delle difese da apparecchiarvi; e poi gli disse: - Quanto ad Ottorino tengo per fermo ch'ei non si lascerà vedere in Milano, e che, se anche ci capitasse mai, il conte del Balzo non lo accetterà in casa sua: ad ogni modo gli terrai l'occhio addosso, come hai fatto fin qui; e accadendo qualche novità, avvisamene tosto.
      - Lo farò, - rispose il Pelagrua, - ma se venissi a scoprire... già, a quel che si dice, la fanciulla gli deve essere stata già promessa... e un par di nozze son presto fatte... ancorchè il padre...
      - Impedirle, - disse Marco.
      - Ma come? perchè se...
      - In ogni modo, - ritornò a dir Marco, - impedirle, regolarsi secondo le cose, e ragguagliarmi tosto; - e ciò detto, lo congedò.
      Il Pelagrua uscì; ma nell'andarsene volse alla sfuggita uno sguardo indagatore al volto del suo padrone, sul quale compariva un turbamento tanto più visibile quanto maggiore era lo sforzo ch'ei facea per nasconderlo.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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