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      Ma quando il castellano recò di Toscana la novella che Marco era stato eletto signore di Lucca, i mariuoli si trovarono sconcertati, tenendo per sicuro che, occupato egli di quelle nuove faccende, contento di quanto si trovava in mano, non avrebbe più oltre voluto commettersi nelle cose di qui, dove tutto da qualche tempo parea andargli per la mala via, e però pensarono di provvedere essi stessi al fatto loro, afferrando la prima occasione che si fosse offerta. La occasione non tardò a venire: il Bavaro, disperando di ottener Milano colla forza dell'armi, si dispose d'averla per tradimento: poich'ebbe indarno sollecitati vari capitani, con larghe promesse di danaro, di titoli e dignità, si rivolse a Lodrisio, già riconosciuto per uno spirito turbolento e ambizioso, come quello che avea più volte fallita la fede ai Torriani e ai Visconti, e gli promise niente meno che la signoria di questa città, se gli bastava l'animo di dargliela in mano. Il tristaccio pigliò subito il boccone, fece intendere la briga al Pelagrua, e questi uscito del castello di Rosate, manipolò tutto quel rigiro che andò poi a finire nella sconciatura che abbiam riferito di sopra.
      Ora Lodrisio pensava dolorosamente al superbo edifizio che si vedea cader dinanzi, pensava al mal partito a che si trovava ridotto.
      Col Bavaro, mancato quel colpo, non vi poteva esser più altro appicco: le sue bande tedesche scoraggiate, tribolate dalle sortite frequenti dei nostri, si tenevano insieme a gran pena; lo sforzo d'Italia (così si chiamavano i collegati) mancante di paghe e di foraggi, tradito, malmenato, abbandonava alla spicciolata il campo; e ben si vedeva che presto l'imperatore sarebbe stato costretto a levar l'assedio e a tornarsene a casa per la più corta: con Azzone non poteva sperare di far bene i fatti suoi, ch'egli capiva d'essergli sospetto, sebbene ne ricevesse ogni giorno un mondo di carezze.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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