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      Quante volte seduta sulla sua cima, poichè la notte s'era fatta buia, io guardava giù il lago, notava un picciol lume scorrente su quello, e riconosceva poscia il canto del pescatore. Quella dolce canzone che soleva alleviarmi le tristezze del cuore gli ultimi giorni passati in quel mio caro nido, io non l'udrò più! non udrò più il mormoramento delle onde che vengono a morire sulle sabbie del lido, non udrò più il soffio aspettato dei consueti venti del mattino e del vespro, nè la voce della tempesta predetta da indubitati segnali. Oh! salutate per me quel nostro sole, quei nostri monti, quel nostro caro cielo.
      E quando, raccolti insieme sul sagrato innanzi alla porta della chiesa, innalzerete il canto della sera in onore della Vergine, ricordatevi tutti di me che tante volte inginocchiatavi da presso, ho pregato cantando insieme con voi, che tante volte, rattenuta da alcuna cura nel castello paterno, pôrsi l'orecchio tutta compunta con un brivido d'amore a quella devota melodia che il vento mi portava in alto or più or meno distinta, tremolante e soave; ricordatevi di me! Brevi sono i giorni che Iddio mi ha numerati! e quando vi giugnerà la novella che il mio corso è finito, date una lagrima alla memoria della povera Bice, che nata e cresciuta fra voi, sperava di posare il suo capo, stanco dai travagli della vita, nella dolce sua terra, fra le lagrime e il compianto dei suoi cari.
      Il Conte, Ermelinda, stupiti e come soggiogati da quello spirito prepotente che parea parlar sulla bocca della loro figlia, la stavan guardando senza osare d'interromperla; ma quand'ella trascorse colle ultime parole a rivelare il vivo, intimo presentimento della sua prossima fine, non potendo più frenarsi, diedero ambedue in un gran pianto.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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