- Ben arrivata, - disse finalmente, come potè riavere il fiato, - ben arrivata l'illustre castellana tra i suoi fedeli vassalli: - e levando ad un tempo un po' il capo, che prima l'avea sempre tenuto basso per riverenza, e volgendo gli occhi al volto di quella a cui parlava, parve confuso e maravigliato, balbettò qualche parola fra' denti, e poi seguitava con voce spiegata e con un accento interrogativo.
- La madre forse dell'illustre nostra signora padrona?
- Appunto, - rispose Ermelinda; e quegli a darsi faccenda perchè la gente si traesse indietro, e desse il passo alla dama e al barone, ch'ei condusse in una sala a terreno splendidamente addobbata, dove i nuovi ospiti trovarono ancelle e paggi e valletti apparecchiati ai loro servigi.
Intanto che Ermelinda, postasi a sedere, accoglieva coll'usata sua cortesia alcune damigelle che le venivano innanzi, il Conte diede una volta per la sala arrestandosi di tratto in tratto colle mani dietro le reni a guardare alcuni quadri che pendevano dalle muraglie.
- Non è il ritratto di Pico codesto? - domandò al castellano che gli stava sempre al fianco.
- Appunto di Pico Visconti, padre del mio nobile padrone, - rispose l'interrogato con un profondo inchino.
- E quest'altro qui, - tornò a dire di lì a poco il Conte, - è Maffeo, non è vero?
Ma in quella l'uomo della trippa era stato tirato per una falda del vestito da un paggetto, che gli disse: - La dama chiede di voi.
- Sì, è Maffeo, zio del padrone, - rispose il castellano all'interrogazione del Conte, e soggiugneva poi tosto: - se permettete, vo al servigio della vostra nobile donna, che mi chiama; - e così dicendo, corse presso Ermelinda, la quale con un volto tutto lieto gli domandava:
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