Tenne dunque a parole tutta la settimana l'armaiuolo per riguardo a quel contratto, facendogli sempre sperare di volerlo stringere, e traendolo d'oggi in domani, tanto che venne la domenica. La domenica era il dì della festa del paesello; vi sarebbero stati giuochi, pompe, solennità, grande affluenza di gente da tutti i dintorni; veniva ad essere il luogo naturale d'un giullare; chè dove fosse baccano e folla, ivi era casa sua. Quando fu il sabato, il nostro Tremacoldo venne col suo liuto in collo a pigliare l'armaiuolo, e si misero in via tutt'e due. Per la strada egli seppe entrar in grazia al compagno, lisciandolo, confettandolo, facendogli intorno quelle carezze che dovean toccargli più il cuore: il gocciolone gli profferse la casa del suo parente, ed egli, dopo essersi fatto pregare un pezzo, tenne l'invito. Il fattore delle monache, a cui l'armaiuolo presentò il giullare come un suo avventore e suo amico, fu ben contento di dargli albergo. Il Tremacoldo la sera cantò, suonò del liuto, fece mille giuochi, mille scene, che la brigata non avea mai visto altrettanto: dormì ivi la notte; la mattina, come se nulla fosse, uscì fuori per la fiera al suo mestiere, e tornando all'ora del desinare, trovò sei o sette uomini di arme che erano stati convitati, nè s'ingannò facendo ragione che fossero i compagnoni del suo ospite in quel negozio che gli stava a cuore di scoprire. All'erta che or siamo al buono.
Entrano a tavola, si mangia, si beve, si trionfa, si grida, si schiamazza; il Tremacoldo è sempre in orecchio, bada da per tutto, nota ogni discorso, ogni parola, ogni atto: niente!
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Tremacoldo Tremacoldo Tremacoldo
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