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      - Che? non vi si reca?
      - Maladetta! altro che recarvisi, ha voluto mangiarlo vivo quel pover'uomo del mio corriere, e a me poi mi scrive, che rispetto a lei e ad Ottorino, non debba impacciarmi più d'altro. Che le faccende l'abbian guarito dell'amore?
      - Meglio! se gli è uscito il pazzo dal capo si darà più di proposito alle cose mature e di gravità, agli interessi suoi; vedi bene, in fin del conto, sono anche i nostri.
      - Capisco capisco; ma intanto che partito ha da essere il mio con questa pettegola?
      - Il partito in che siam rimasti, quello di recarla, o colle buone o colle cattive, a compiacere a Marco: credi tu che quando, tornando egli qui, la trovi già bella e maturata, già sua, non sia per sapertene buon grado? e dico anche nel caso che i primi bollori gli sian dati giù.
      - Il ciel me la mandi buona! Oh non sapete con che umoretto sono alle mani! Pensate: sono già venti giorni ch'ella è qui; e siamo ancora a questo, che si crede d'essere a Castelletto; e non ho potuto mail arrischiarmi...
      - Un bell'avviamento! che il diavolo ti porti!
      - Ma come?...
      - Eh! quando hai visto che colle dolci non se ne facea nulla, cambiar registro: pare che tu non abbia mai conosciuto femmine.
      - Ma vi dico ch'ella basisce per nulla.
      - Lasciarla fare il suo verso, e tirar via di grosso.
      - Avete bel dire voi, ma bisognava esser qui il quarto giorno ch'ella fu in castello; le entrò una febbre rovinosa, ch'io ebbi paura non me la portasse via, e ogni ora credea che potesse esser la sua. Se ella mi fosse morta davvero, vedete bene che imbroglio! e poi bisognava pensare anche a quest'altra che è qui con lei.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





Ottorino Marco Castelletto