- Sì, sono le lettere che vi viene scrivendo ogni giorno il vostro sposo.
- Lo credetti, e questa fede era l'ultimo filo da cui pendeva la mia vita: ora il filo è spezzato; le lettere non sono d'Ottorino.
- Che il Signore ci usi misericordia! - gridò Lauretta diventando pallida come la morte... - Ma chi mai? ma come avete saputo?...
- Ieri tu mi recasti questa rosa bianca che ho in petto, è vero?
- Sì, mi fu data dalla vecchia che è solita portarci il cibo.
- E m'hai detto che la mandava la castellana per me.
- È vero.
- Ora sai tu chi sia la castellana?
- Lo so, è la moglie del Pelagrua, quella che fu ricoverata da vostra madre in castello quel dì che vi si era rifuggita col suo bambino.
- Ebbene, ella si ricordò del benefizio nel giorno della mia miseria e non potè patirle il cuore di vedermi più a lungo aggirata da una macchinazione infernale. Tra le foglie di quella rosa era nascosto un breve che m'avvisò del tradimento: pensa in che abisso m'abbia precipitata quell'annunzio! Chi sa che cosa sia di Ottorino, chi sa s'egli è in vita? chè non posso credere ch'ei mi avesse abbandonata... Che sarà de' miei parenti?... e noi, oh Dio! sa il Cielo in che mani ci troviamo, se questo sia veramente il castello di Ottorino, o non piuttosto... chè non avvi nulla di spietato, di terribile, che la mia mente non se lo figuri!
- Oh misericordia, misericordia! oh noi poverette! - sclamava Lauretta.
- Ora ti dirò, - ripigliava la padrona, - su che si fondino principalmente i miei terrori. Tu devi sapere che quella notte ch'io fui con mio padre e colla zia alla festa in casa di Marco Visconti.
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