Il giorno precedente a quello in cui dovea andar nella Signoria il partito per l'acquisto di Lucca, Marco, al quale erasi significato come i Priori, e gli altri che reggevan la terra, l'avrebbero inteso prima della deliberazione, stavasi solo in una sua camera, ed avea appena finito di scegliere tra un fascio di carte i varii trattati corsi fino a quel dì fra i procuratori della Repubblica e lui: quando entrò un donzello, annunziandogli l'arrivo di un corriere di Lombardia, il quale era passato da Lucca. - Venga tosto, - disse Marco, credendo che fosse uno dei soliti corrieri speditigli da Lodrisio ogni settimana.
Il chiamato entrò: era Lupo, il quale stordito, fuor di sè per la gioia, per la maraviglia del trovarsi al cospetto di quell'uomo, non potendo formar parola, si cavò di seno la lettera d'Ermelinda, e gliela porse. Il Visconte la posò sopra un tavolino senza neppur volger l'occhio sulla soprascritta, e domandò all'arrivato:
- Dunque vieni da Lucca?
- Da Lucca, - rispose questi con voce mal ferma pel forte martellargli del cuore; ripigliando poi un po' di fiato: - e l'ho lasciata tutta sottosopra.
- A quest'ora ell'è più quieta d'un convento, - riprese Marco, il quale avea già ricevute tre o quattro staffette che lo ragguagliavano del principio, del progresso e della fine dì quella rivolta così fatta.
- A te però non fu fatto nessun sopruso, spero?
- Oh! no, niente, - rispose il giovane incorato dall'aria di bontà con che gli venìa fatta quella domanda. - E se alcuno... già, per natura, stranezze non uso patirne; e adesso poi che era spacciato a Marco, voleva un po' star a vedere chi avesse avuto tanta faccia da farmi il più leggiero smacco!
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