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      Ah! per la gentilezza vostra, per la fama di che il mondo vi onora, per quanto vi fu mai un giorno fra noi di pio, di fedele, di amabile; se ottenni mai grazia alcuna nel vostro cospetto, toglietemi da questa agonia, restituitemi la mia figlia, restituitemela tosto, prima che il dolore abbia chiusi per sempre questi occhi stanchi dal pianto. Oh! se sapeste l'angoscia dei miei giorni! se poteste assaggiare il tormento d'un'ora, d'un'ora sola delle mie notti eterne, tutte piene di larve e di spaventi! se provaste che cosa voglia dire esser madre!... La mia vita, voi lo sapete, fu sempre seminata d'amarezze e di guai; ma tutto è un'ombra, è un sogno, appetto allo schianto, allo sfinimento che mi dà questa spinta mortale. No, io non credetti mai che si potesse patir tanto a questo mondo... Oh Dio! Dio misericordioso! la vostra mano s'è aggravata di troppo su una debole creatura; cessate tanto strazio a cui non posso più reggere, richiamatemi a voi, ma prima salvatemi la figlia!... Ahimè! le lagrime m'intenebran la vista, la mano vacilla, io sento mancarmi... Marco, deh! fossi almanco alla vostra presenza, e potessi cadervi ai piedi, e spirarvi dinanzi domandandovi nelle ultime voci quella grazia che non potreste negare a una morente! Abbiate pietà, abbiate pietà dell'infelicissima Ermelinda
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      CAPITOLO XXX
     
      Questa lettera mise l'inferno nel cuore di Marco: egli avrebbe voluto montar dirittura a cavallo, e correre di filato a Milano; appena potè contenerlo il pensiero delle cose di Lucca, di cui il domani doveva andare il trattato.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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