Cambiando spesso di cavalcature, camminava giorno e notte; e per via si faceva raccontar dal Limontino tutto quello ch'ei sapeva intorno a Bice e al suo signore.
Ermelinda, nella sua lettera, non era discesa a particolare nessuno, come quella la quale tenendosi sicura che tutti i fili della trama erano stati tesi da Marco, avvisava ch'egli conoscesse per la minuta ogni cosa, ben più in là di quel poco, ch'essa era pur giunta a scoprirne.
Ma il Visconte che trovavasi al buio di tutto, all'intender ora della sparizione di Bice e dell'ancella, dell'agguato a cui lo stesso narratore era stato preso in compagnia del suo padrone, e del pericolo ch'egli avea corso da ultimo, venendo a Lucca, tornava con la mente sul passato, pensava all'odio mortale che Lodrisio teneva addosso ad Ottorino, gli veniva in cuore una certa qual profferta fattagli fare un tempo per bocca del Pelagrua di sbarazzarlo del giovane cavaliere, si ricordava di qualche motto velenoso, di qualche perfida insinuazione lanciata dal Pelagrua proprio, o da qualche corriere in nome suo; e raffrontando insieme i tempi, considerando l'avvenuto e la natura delle persone, trovò tali riscontri, che lo persuasero come tutto quell'assassinamento voleva esser fattura dei due soppiattoni, stretti da un pezzo, com'ei ben sapeva, in grande dimestichezza fra loro.
Questa conclusione gli faceva ribollire il sangue nelle vene, scorrere una fiamma al volto: egli giurava nel suo furore di vendicarsi di tanta infamia che quei traditori avevan voluto rovesciargli in capo, di pagarli dell'agonia che avean dato ad una povera madre, ad una infelice fanciulla; di non posare finchè i furfanti avesser fiato; e tutto infervorato in siffatte fantasie di corruccio e di sangue, spronava il palafreno cacciandolo di carriera.
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