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- No, Marco, - l'interruppe quella pia, levando risolutamente il volto pieno d'una accorata e timida dignità: - non esca una bestemmia dalla bocca d'un cristiano. Come potete sperare che il Signore benedica l'opera di carità che m'avete profferta, se l'imprendete colla vendetta nel cuore? e che fiducia volete che riponga io nel fatto d'un uomo che non ha il Signore con sè?
- Voi siete un angelo! - sclamò il Visconte, - ed io... non sono che un miserabile. Or via, prima dell'alba sarò al mio castello di Rosate: il sole di domani vi vedrà più contenta. Addio!
- Addio, - rispose Ermelinda, - il Signore vi accompagni ora e sempre, e ci usi misericordia a tutti quanti. Addio. - E vedendolo partire, quasi che l'animo al cessar del bisogno allentasse lo sforzo che avea fatto fino a quel punto per reggere a sì violenti scosse, tutto ad un tratto ella sentissi venir meno, sicchè dovette abbandonarsi su d'una seggiola, d'onde porgea languidamente l'orecchio ai passi di lui che si allontanavano sonanti sotto le vôlte delle lunghe sale. Quando ogni rumore fu perduto, si levò in piedi, e tornò vacillando alle sue camere; ma, stordita e fiaccata da tante commozioni, le pareva che tutto non fosse stato che un sogno.
Il Visconte uscito sotto i portici vi trovò Lupo che lo stava aspettando, e gli disse: - Verrai meco a Rosate. - Il Limontino, significatogli con un ossequioso chinar del capo la sua riconoscenza per quell'invito, gli tenne dietro senza risponder parola. Uscirono ambedue dalla porta, attraversarono a gran passi fra le tenebre buona parte della città, l'uno innanzi e l'altro dopo, sempre in silenzio; finchè, divenuti alla casa di Marco, vi presero due cavalli, e s'avviarono di galoppo verso Rosate.
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