Quelli a cui eran commesse le perquisizioni nell'interno, atterrata a forza di mazze, di leve e di picconi, la prima porta, discesero in un largo androne oscuro, d'onde cominciavano a spargersi chi di qua e chi di là in vari drappelli; ma ad ogni poco incontravan nuovi intoppi; chè all'imboccar di tutti i corridori eran grossi cancelli di ferro; ogni cameretta a destra e a manca si chiudeva con massiccie tavole, con salde e pesanti ferramenta. Marco medesimo, correndo or qua or là, inanimava gli operatori; egli stesso dava mano a scassinar usci, a sconficcare arpioni e bandelle! ma tutt'era niente. Penetrato con grande stento in uno degli anditini, atterrati due, tre, quattro usci, visitate altrettante camerette che si trovavan vôte; quanti viottoli rimanevano da conquistarsi! quante camere da espugnare ad una ad una!
CAPITOLO XXXI
Durava da più ore quel faticoso lavoro, quando parve ad alcuno d'udire come una voce lontana che uscisse di sotterra. Marco fa cessare immediatamente ogni rumore: stanno tutti in orecchi... Da lì a qualche tempo la voce si fa intendere un'altra volta; una voce lunga, acuta, come di lamento, che viene da una carbonaia scavata sotto quel primo sotterraneo, tra le più basse fondamenta d'un torrazzo. Su, presto, all'opera tutti quanti; la novella speranza raddoppia la lena: in un momento si sganghera un cancello, si sconquassa, si abbatte un uscio. Marco con una fiaccola in mano entra egli per il primo in un camerotto, fa risaltare una ribalta a fior di terra, e giù per una scaletta a chiocciola fino al fondo della torre divisata.
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