- Il giovane le prese e si mise a scorrerle.
Intanto Marco abbassò un'altra volta lo sguardo sul castellano che gli stava prosternato dinanzi, e non cessava dal gemere, dal supplicare; e dandogli d'un piede in una spalla: - Levati, sciagurato, - gli tonò con voce tremenda. Il tristo obbedì. Alla vista di quel volto su cui anche la paura e l'abbiezione avea qualche cosa di maligno e di feroce, il signore di Rosate sentissi ribollire il sangue; fece alcuni passi innanzi e indietro del battuto per rimettersi in calma, poi gli si fermò vicino, e incominciava a interrogarlo.
- Quand'è che Lodrisio fu qui?
Ma prima che venisse la risposta, Ottorino avvicinossi a Marco, e mostrando le carte avute pur allora da lui:
- È una falsità sfacciata e crudele, - dicea fremendo: - queste lettere non sono mie.
Marco gli strappò di mano i fogli, e squadernandoli sul viso al Pelagrua, il quale alle parole d'Ottorino s'era messo a tremar più forte, gli domandò con voce mezzo spenta dall'ira: - Di chi sono dunque?
- È stato, - cominciava questi balbettando, - è stato... per obbedire a voi, per servirvi meglio...
A tanto il Visconte perdette il lume degli occhi:
- Ah mostro dell'inferno! - ruggì come un furioso: e nel punto medesimo gli avventò un siffatto punzone nel viso, che fracassatagli una mascella, mandollo a gambe levate giù dalla torre, al piè della quale la mattina fu poi trovato morto, infilzato su di un palo di quei che stavan confitti nella fossa.
Dopo di ciò, Marco si ritrasse nelle sue camere, dove non volle che alcuno, tampoco Ottorino, lo seguitasse; vi si rinchiuse, e stette solo fino a gran notte, tramestando per gli armadi, scegliendo carta da carta, ardendone molte, riponendone alcune, altre postillandone: scrisse varie lettere, e fece il suo testamento, nel quale dopo aver provveduto d'una larga pensione la vedova del Pelagrua, e dopo molti lasciti ai suoi scudieri, ai paggi, a tutta la numerosa famiglia da lui trattenuta, nominò suo erede Ottorino.
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