A mezza notte fece chiamare il monaco che aveva assistita Bice, e volle confessarsi da lui: ciò fatto, gittossi su d'una seggiola a bracciuoli, e dormì forse un paio d'ore tranquillamente, a quel che disse dappoi un suo famigliare, il quale senza che ei se ne accorgesse l'avea vegliato tacitamente da una camera vicina. Quando si destò, chiese da bere; gli fu recata dell'acqua in un'ampia coppa d'oro, e la tracannò tutta in un fiato; vedendo allora di non poter più riattaccar sonno, e riuscendogli incomportabile lo starsi senza far nulla aspettando l'aurora, uscì fuori su un loggiato, e si mise a passeggiare innanzi e indietro come un'anima tormentata, intento sempre fra quel buio, fra quel silenzio universale, a un fioco lume, a un basso mormorio di preghiere che veniva da una cameretta di fronte.
Intanto Lodrisio, ch'era in Milano, travagliato da mille sospetti, non vedendo tornare il messo spacciato al castellano di Rosate, avea mandati alcuni suoi fedeli, che, spiando accortamente nei dintorni, l'aveano avvisato d'ogni cosa. La sua lettera caduta nelle mani del Visconte, Bice trovata nei sotterranei e morta dappoi, Ottorino posto in libertà, il castellano interrogato e tolto di vita dallo stesso Marco, tutto gli era stato riferito; ond'egli ben s'avvide, come scoperta ogni sua macchinazione, non gli rimanesse più scusa nè sutterfugio per salvarsi dall'ira di quel terribile signore, con tanta perfidia, con tanta crudeltà, sì lungamente aggirato. Il tristo già s'immaginava di vederselo comparir dinanzi con quella sua furia indomabile a domandargliene ragione; e, quantunque ardito e franco della sua persona, quantunque uno dei più valenti cavalieri di quel tempo, non s'assicurava troppo di poter durare a fronte di un avversario di quella taglia, di un avversario che era riputato per la prima lancia di Lombardia.
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