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      Egli andò ramingo per molt'anni in varie parti d'Italia, finchè nel 1338 gli riuscì coll'aiuto dello Scaligero di assoldare tremila e cinquecento cavalieri (numero considerabile nelle guerre di que' tempi), oltre una gran copia di fanti. Con tutta quella gente, che fu chiamata la Compagnia di San Giorgio, ingrossata per via da una infinità di ladri, di masnadieri, di banditi, che accorrevano al lecco del bottino, si avanzò verso il Milanese, ponendo tutto a ruba e a fuoco. Giunto nelle vicinanze di Parabiago, dov'era aspettato da Luchino con tutto lo sforzo di Milano e degli alleati, diede quella famosa battaglia, che prese il nome dal borgo presso cui fu combattuta. In essa fu sconfitto interamente, e caduto vivo in man del vincitore, venne con umanità troppo rara a quei tempi confinato, in compagnia dei due suoi figliuoli, nella fortezza di San Colombano, dove stette rinchiuso fino al 1348. E poi? morto Azzone, morto Luchino, ne fu cavato dall'arcivescovo Giovanni... E poi? Dopo aver corse varie altre vicende, morì vecchissimo, di suo male, in Milano il 5 d'aprile del 1364.
      Di più fu seppellito con gran pompa, magnaliter, come dice il cronista già da noi citato; anzi a dimostrazione di lutto e d'onore, Bernabò, allora signor di Milano, differì un solenne torneamento; e i principi, i baroni e i conti, che già eran venuti per farci lor prove, dovettero aspettare che il corpo di quel Lodrisio fosse posto in terra, dopo fattogli assai cerimonie attorno. Cose, dico, che a prima giunta fanno rabbia.


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Marco Visconti - Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel tempo e raccontata da Tommaso Grossi
di Tommaso Grossi
Vallardi Editore Milano
1958 pagine 484

   





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