Dopo aver detto che Marco avea fatto affogar Bice in compagnia d'una sua fante nella fossa del castello di Rosate (la storiella cui si dava spaccia a que' giorni, e che vien ripetuta da una gran parte degli storici che venner dopo), séguita così: Postea de nece pulcherrimæ amatricis se doluit......die quadam sanus corpore, tamen perversa mente, aulam, dominationis civitatis Mediolani intravit, et ibi in præsentia plurimorum, ei favorem non dantium, subito mors, quæ nulli parcit, violenter eum oppressit. (Chronicon Modœtiense, Cap. XLII).
Il fatto per verità non è troppo chiaro: che vuol dire quel perversa mente? e quell'in præsentia plurimorum ei favorem non dantium? Chi erano questi molti che non gli davano favore? e in che cosa non glielo davano? Ecco che 130 anni dopo nasce uno scrittore (Bernardino Corio), il quale in parte pigliando questo racconto dal Morigia, in parte raffazzonandolo a suo modo, spiega quelle oscure parole del vecchio cronista, inventandovi dentro un fatto che non è accennato da nessun contemporaneo, che sarebbe parso troppo strano, troppo duro a credersi, se anche fosse stato raccontato dai contemporanei. Trascriviamo qui le parole del Corio: "Marco fece annegare Bicia con la serva nella fossa del Castello; niente di meno poi assai si dolse per la morte della bellissima amante; onde in diversi modi trovandosi sbeffato, un giorno come furioso entrò nella corte del Principe, et ogni cosa con alcuni suoi satelliti cominciò a mettere a sacco; ma finalmente mancatogli l'aiuto ecc.
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