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Nelle opere di Becher, pubblicate verso la fine del secolo XVII ed al principio del XVIII, come ad esempio Opuscula chymica (Norimberga 1719), nulla si trova che interessa la forma cristallina dei sali o di altre sostanze. Anche nella sua Physica subterranea, per quanto vi siano esposte altre idee interessanti i minerali, per ciò che riguarda i cristalli nulla vi si trova.
Gli antichi naturalisti anteriori al 1650 consideravano i cristalli come giuochi della natura.
Anche in questo secolo pur troppo si nota in Italia una enorme sproporzione fra i cultori della chimica ed i grandi iniziatori e sperimentatori nelle altre scienze. Se si eccettui in via indiretta il Guglielmini, L. M. Barbieri e qualche altro, nessun chimico italiano, nella seconda metà del Seicento, può esser messo alla pari con uno dei tanti fisici, matematici, anatomici e naturalisti che ha avuto allora il nostro paese.
Qualche utile osservazione verso la metà del Seicento fecero Boece de Boot e Kircher, sui sali cristallizzati. Ma fu un grande naturalista italiano, Andrea Cesalpino, il quale per la prima volta già nel secolo XVI (De metallicis, libri tres, Roma 1596) aveva notato come varî corpi, quali l'allume, il nitro, lo zucchero ed il vetriolo si separavano dalle loro soluzioni in forme cristalline caratteristiche. Se Cesalpino, scrive Tutton, non avesse attribuito questo fatto al risultato di una forza organica, secondo la curiosa opinione che in quel tempo si aveva riguardo ai cristalli, egli potrebbe aver avuto il vanto di essere il pioniere dei cristallografi.
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