Spieghiamo ora la venuta di Angiolo Guelfi a dare in persona l'avviso della partenza.
Stava esso, come abbiamo detto, al Morbo, in apparenza come bagnante, in fatto per riprendere all'occorrenza le pratiche del trafugamento per la via del Tirreno, se per una qualche disgrazia non si fosse potuto effettuare il piano ideato. Si era imposto di non accostare il Generale che in caso di assoluta necessità, ma la sera del 1° settembre aveva ricevuto un espresso dei fratelli Lapini diretto a Girolamo Martini, col quale si diceva che tutto era pronto, e che nella notte stessa sarebbero impostati lungo la via i mezzi di trasporto, e non aveva potuto reggere al desiderio ardentissimo di rivedere per l'ultima volta i due profughi, e portare loro da sè stesso la lieta novella. Ma non aveva dimenticato di dire ad arte che, richiamato a Pisa da urgenti affari, andava la sera a San Dalmazio, per farvisi condurre dai cavalli dell'amico Serafini. E così fece di fatti, che il giorno successivo, mentre Garibaldi imbarcava felicemente a Cala Martina, il Guelfi si faceva vedere in Pisa(14).
Con quanta gioia fosse ricevuta dal Serafini e dagli esuli la lieta novella si può immaginare. Angiolo Guelfi, che aveva così bene condotta la cosa, fu fatto segno per parte di Garibaldi e di Leggero alle più entusiastiche dimostrazioni di amicizia e di ringraziamento. Nei pochi momenti che precederono la partenza volle il Generale restare a solo col Guelfi nella sua camera. Lo ringraziò con effusione di quanto aveva da lui ricevuto, lo abbracciò e baciò caramente, lo chiamò suo amico, poi volendogli dare un attestato della sua riconoscenza si levò da tergo un pugnale americano, che lo aveva sempre accompagnato nelle guerre al di là dell'Atlantico, e nella difesa di Roma, e porgendolo al Guelfi gli disse: Non ho altro oggetto a me caro da potervi dare per mio ricordo.
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