Nel 1821, fanciullo di quattordici anni, attendevo agli studii forensi nella Università Pisana. Cotesto anno andò famoso per rivoluzioni italiane, specialmente di Napoli. Da cotesto Regno erano mandate Gazzette, le quali, oltre al racconto dei casi, che alla giornata vi succedevano, referivano i discorsi tenuti nel Parlamento da personaggi per chiarezza di fama prestantissimi. La lettura delle Gazzette si permetteva nei Caffè, ed è facile immaginare se la curiosità od altro più nobile affetto le menti giovanili invogliassero a sapere di cotesti successi e di coteste orazioni. Non bastando però una sola copia a soddisfare la impazienza degli scolari, fu stabilito che a turno uno di noi salisse sopra luogo eminente e leggesse. A me toccò la mia volta come agli altri, e voglio confessare più spesso che agli altri, forse perchè avessi o migliore voce, o migliore garbo nel leggere. - Questo fatto mi fruttò la perdita di un anno accademico per Risoluzione Economica del Buon Governo. - Se cotesta era colpa, perchè consentire che le Gazzette si esponessero alla lettura nei Caffè? Non pareva insidia tesa a inesperti fanciulli? E se non era colpa, perchè punirci? E chiunque pensi che coteste pene cadevano sopra famiglie numerose, la più parte scarse di averi, e come a molti giovani venissero ad essere rotti per sempre gli studii, ad altri con inestimabile danno ritardati, non dubiterà affermare, che potevano reputarsi veri omicidii intellettuali. Ho narrato altrove(60) come, venuto a Firenze, reclamassi della ingiustizia presso il Presidente del Buon Governo, il quale mi disse: A lui non appartenere la facoltà di graziare; egli non potere fare altro che punire.
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